Guerra, Tutela, Patrimonio: la cultura ucraina sotto assedio

L’invasione della Russia ai danni del Paese europeo sta coinvolgendo numerosi beni storici e artistici che rischiano la distruzione

Teatro di Mariupol ©hmarochos.kiev

La Russia di Putin ha riportato la guerra in Europa orientale dopo oltre trent’anni dallo scoppio dell’ultimo conflitto nell’ex Jugoslavia. Con i conflitti balcanici degli anni ’90 si chiudeva uno dei secoli più cruenti del vecchio continente, decenni che avevano lasciato dietro di sé milioni di vite umane innocenti sacrificate e tonnellate di macerie, fisiche e culturali. La Grande Guerra, a causa dell’efficienza delle armi moderne, aveva messo in luce la fragilità del patrimonio dei Paesi coinvolti: chiese, palazzi gentilizi, centri storici e opere d’arte mobili vennero inesorabilmente cancellati, dall’Olanda, alla Francia, dall’Italia alla Germania, nessuno escluso. Il secondo conflitto mondiale accentuò questo problema, dovuto sia all’avanzare delle tecnologie che allo spettro ancor più ampio delle nazioni coinvolte. Focalizzandoci unicamente sulla scena europea, ogni nazione si dotò di piani per mettere in sicurezza il proprio Patrimonio, pesantemente minacciato dalle ripetute incursioni aeree e dalle deflagrazioni di ampio raggio. Strategia comune fu quella di spostare le opere mobili in luoghi sicuri appositi e, con numerosi stratagemmi, si cercò di proteggere le decorazioni e i partiti architettonici amovibili. Per meglio comprendere come si stanno muovendo in Ucraina per salvaguardare il patrimonio, l’Italia degli anni ’40 può essere presa come esempio. 

Seconda Guerra Mondiale: il caso italiano in materia di tutela 

Nel 1942 la Direzione Generale delle Arti pubblicò “La protezione del patrimonio artistico nazionale dalle offese della guerra aerea”, volume che contiene un elenco - non esaustivo ma esemplificativo, per ovvi motivi - di interventi effettuati sui monumenti e sulle opere d’arte, partendo dalla realtà di Roma per poi riportare esempi veneti e pugliesi. Fin dal giugno 1940 le Regie Soprintendenze ai Monumenti, alle Antichità e all'Arte, ognuna nel proprio settore, stilò un elenco di beni da salvaguardare e un relativo piano di intervento per attuarlo nel minor tempo possibile. Castelli e impalcature incombustibili celarono alla vista dei cittadini ciò che di più quotidiano costellava le città italiane: la nostra storia, architettonica e artistica. “I tecnici […] sapevano quali fossero, in quelle venerande costruzioni, i punti di minor resistenza, lo spigolo da rinforzare, l'arco da riempire, il trave da rinsaldare, la volta da inchiavardare” è riportato nel volume, una fredda precisione operativa dovuta alla contingenza del conflitto. La difesa integrale sarebbe risultata impossibile, così in alcuni casi si scelsero solide impalcature di legname contenenti sacchetti di sabbia, in altri si costruirono muri, convenientemente distanziati dai monumenti da proteggere. Casi divenuti tristemente iconici sono proprio gli interventi delle due colonne coclidi di Roma, dove un alto muro circolare poggiava su fondazioni in cemento armato studiate ad hoc. Le statue e i rilievi, nel caso in cui si fosse deciso di mantenerle in loco, sono state imbottite e fasciate con “ovatta di vetro” incombustibile - scelta motivata dal contatto diretto con le opere - per poi rivestirla con lamina d’alluminio “per la difesa dall’aggressivo chimico e per completare la protezione dal fuoco”. I mosaici delle chiese romane furono consolidati e interamente bendati con tele di iuta: entrando dentro San Clemente, Santa Prassede o SS. Cosma e Damiano non avremmo più incrociato lo sguardo del Cristo e dei Santi, ma solo una distesa di alluminio. Questi impacchettamenti - guardando alla sola realtà romana - celarono per anni i bassorilievi e le pregevoli decorazioni dell’arco di Costantino, dell’Arco di Tito, di Settimio Severo e di numerose antichità.


La protezione del Patrimonio Artistico nazionale dalle offese della guerra aerea

I primi lavori di protezione della Colonna Antonina. Armatura della corazza orizzontale in cemento armato, funzionante anche da piastra di fondazione

La Colonna Antonina durante gli interventi di protezione antiaerea

La Colonna Antonina a lavori ultimati

Protezione interna ed esterna dell'Ara Pacis Augustae

Muro di fornice romano di eccezionale spessore adottato a ricovero di opere d'arte

Chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Particolare dei lavori di protezione dei mosaici e l'aspetto finale dopo il rivestimento in lamina d'alluminio

Santa Maria del Popolo, Cappella Chigi, stadi consecutivi della protezione delle sculture


Queste opere di protezione, in alcuni casi, riuscirono a preservare i beni, o parti di essi: nel volume “Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra”, edito nel 1947 da un’iniziativa dell’Associazione Nazionale per il Restauro dei Monumenti Italiani Danneggiati dalla Guerra con la collaborazione del Ministero della Pubblica Istruzione, è presentato un elenco di cinquanta beni danneggiati, descrivendo anche le prima opere di intervento e le relative cifre da sostenere per il restauro. Colpisce il caso delle decorazioni del Tempio Malatestiano, dove i bassorilievi di Matteo de’ Pasti e Agostino di Duccio si salvarono grazie alle protezioni nonostante la chiesa che venne completamente scoperchiata e la zona absidale cancellata.


Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra

Guerra di aggressione anche come annientamento culturale

Considerando l’attuale situazione, tra le numerose sofferenze patite dai cittadini ucraini, prima tra tutte la perdita di vite umane, l’essere stati privati della bellezza del patrimonio - parafrasando il famoso libro di Tomaso Montanari - è da considerarsi come un crimine contro l’umanità. Partendo dal presupposto che «non c'è opera d'arte che valga la vita di un essere umano», prendendo in prestito le parole dello storico dell’arte, l’aggressione all’Ucraina comporta «enormi rischi che non hanno a che fare con le singole opere che si possono mettere al sicuro, ma con il patrimonio inteso nel senso più vero e ampio». Questo “urbicidio” - termine coniato durante il conflitto Jugoslavo che indica i danni arrecati alle città e ai patrimoni umani - fa parte di un preciso piano di annientamento culturale, prima forma di assoggettamento di un popolo (che si riconosce in quei valori) a un altro Non si tratta, solo, dello sventramento di interi quartieri urbani - sorte toccata ottanta anni fa a Dresda, Berlino, Varsavia e molte altre città - dell’inesorabile perdita di una scultura, di un ciclo pittorico o di un quadro ma della distruzione arrecata a un patrimonio che rischia di essere strappato dalla coscienza e dal quotidiano dei suoi cittadini: inizialmente occultato alla vista, protetto da sacchi di sabbia o messo al sicuro in un bunker, con il timore successivo di non rivederlo più integro. Basta citare il caso della statua di Gesù Cristo il Salvatore, rimossa pochi giorni fa dalla cattedrale armena di Leopoli e portata in un bunker, per proteggerla dai bombardamenti russi: l’ultima volta era accaduto durante il Secondo conflitto. La storia si ripete, come triste ritornello. La conservazione e protezione come presa di coscienza della fondamentale importanza delle singole unicità, perché, come scritto già nel 1879 su The Architect nell’ambito della Society fot Protection of Ancient Building (SPAB), le opere e «gli edifici […] sono del mondo intero». Mettere in sicurezza un’opera d’arte considerata importante, sotto il profilo storico, artistico e culturale, significa attribuirgli un valore; cercare di proteggerla delle brutture umane vuol dire preservarla affinché possa essere perpetuata alle generazioni future. «I Beni Culturali si possono considerare affidati in custodia e gestione alle città ed alle regioni ed ai paesi dove si trovano, ma, per essere testimonianza materiale della civiltà umana, appartengono a tutta l'umanità», scritto il prof.re Salvatore Boscarino. Il bene di un paese è un bene globale. Suscita orrore la notizia del bombardamento del teatro di Mariupol - che tutti pensavano venisse risparmiato per la doppia scritta “bambini” posta nelle vicinanze, visibile dai droni e dalle forze aeree  - della distruzione del Museo di Storia Locale di Ivankiv, dell’università di Kharkiv e della simbolica piazza della Libertà, danneggiando anche l’adiacente museo di arte contemporanea Yermilov Centre. 


Teatro di Mariupol prima e dopo i bombardamenti ©insider


Duque de Richelieu, Odessa ©wikimedia


Duque de Richelieu, Odessa ©rositaromeo

Vite umane falcidiate, edifici distrutti, patrimonio danneggiato, ferito o devastato. È in corso la distruzione culturale di un paese e chi, come noi italiani, sa cosa vuol dire essere privati della propria identità storica e artistica? L’auspiscio è che questo annientamento/annichilimento cessi il prima possibile. Per gli ucraini, per l’Europa. Per i contemporanei e per le future generazioni.

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