JR squarcia Palazzo Strozzi: una Ferita Culturale?

La Ferita, Palazzo Strozzi, 2021

 La Ferita di JR squarcia Palazzo Strozzi. È uno modo per “oltrepassare” la materia dell’iconico edificio rinascimentale fiorentino: questo squarcio ci permette di andare oltre, di superare il velo di Maya della realtà, e catalizzare l’attenzione mediatica sui luoghi della cultura interdetti al pubblico. Si tratta di uno stratagemma attuato mediante una gigantesca anamorfosi – larga 28 metri e alta 33, fino alla trabeazione terminale - per indirizzare le luci della ribalta sulle gallerie, sulle biblioteche, sui teatri e sui luoghi tutti della cultura oramai svuotati dalle restrizioni per contenere il covid-19.

Il giovane artista francese, nato e cresciuto in una delle banlieue parigine da genitori tunisini, ha da anni manifestato il suo interesse per numerosi temi sociali; i suoi monumentali “collage fotografici”, apparsi a Parigi, Berlino, in città israeliane e palestinesi di confine, a San Paolo in Brasile e in corrispondenza del muro che divide gli Stati Uniti Messicani da quelli statunitensi, danno voce a gruppi minoritari, etnici o generazionali, e all’umanità tutta. È un’arte di strada, rigorosamente in bianco e nero, che spezza l’ordinario, l’usuale, spingendoci a riflettere su alcuni temi delicati.

Quando l’altro ieri hanno iniziato a circolare le immagini ufficiali dell’installazione fiorentina non vi nego che ho storto il naso. Non ci ho più visto la minuta forza del gigante Kikito posto al confine tra i due Stati americani, non ho trovato l’umanità dei carcerati di Tehachapi, di una potenza limpida e tagliente che traspare da quegli occhi che ti scrutano. Dove sono gli occhi di Migrants che, dalla Madre Terra, guardano verso l’infinito cielo superando la pochezza umana che alza muri invece di condividere la profonda Bellezza che unisce tutti noi esseri viventi?

Giants, Kikito 2017

Migrants, Picnic across the border, 2017

Ho storto il naso perché, senza nulla togliere all’accattivante composizione di JR, questa Ferita ha poco di “doloroso” e tanto di mediatico, e non nel senso positivo del termine; cercando di indirizzare l’attenzione globale sulla triste crisi culturale in atto, invece di tutelare e valorizzare l’oggetto da porre sotto i riflettori si decide di relegarlo a una semplice tela bianca da imbrattare.
Quale valore culturale vogliamo dare a Palazzo Strozzi e quale all’installazione da poco postagli sopra?
Ascoltando una delle interviste fatte all’autore non mi è rimasto impresso niente al di là di un riduttivo “i musei sono chiusi causa covid, portiamoli fuori!”, come se stessimo parlando di una pizza a domicilio e non di una situazione estremamente delicata per le nostre istituzioni culturali, per le persone che lavorano in questi settori nonché noi fruitori.
L’opera mi sembra una summa di cliché fiorentini, dove Il ratto delle Sabine di Giambologna è accostato a due tele del Botticelli conservate negli Uffizi tanto per non cadere nel banale.
L’omaggio dell’artista alla città e alla cultura italiana sarà anche sincero, mi domando solo se non si sarebbe potuto pensare a qualcosa di diverso, senza voler a tutti i costi far rivaleggiare un edificio di cinquecento anni con un’installazione contemporanea. Perché mi sembra proprio che l’unico sofferente a uscire sconfitto sia proprio la perfezione delle facciate quattrocentesche.
Il fantomatico slogan “Firenze, la culla del Rinascimento” in men che non si dica è ridotto a mero schermo per installazioni, implacabilmente piegato alla Valorizzazione 2.0(21) del nostro Patrimonio.
Il centro storico di Firenze riesce spesso a far dialogare l’arte contemporanea con i suoi edifici e quinte urbane; ho apprezzato Fischer a Piazza della Signoria nel 2017 e gli interventi di Jan Fabre, “frammenti di storie” che sono riuscite a instaurare un dialogo tra l’ambiente storicizzato e la contemporaneità. O quantomeno una forma di reciproco rispetto identitario: il bugnato di Palazzo Vecchio e Big Clay #4, la scintillante tartaruga di Fabre e il Perseo del Cellini. Antico e contemporaneo vicini, affini, senza che l’uno surclassasse l’altro.
Palazzo Strozzi conferma la sua vocazione di spazio espositivo totale a 360°, ed è un motivo di vanto, ma a maggior ragione ci si aspetta che ciò avvenga senza perdere la propria, forte, fortissima identità. Ne beneficerebbero tutti: la perfezione, azzarderei intoccabile nella sua grammatica architettonica, della facciata rinascimentale e un’ipotetica, magari leggermente modificata, installazione di JR.
Foto scaricate dalla pagina ufficiale di JR.

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